In libreria “Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei” (Mursia, pagg. 150, Euro 15,00) del saggista storico Stefano Fabei, un saggio molto ben documentato che porta alla luce un aspetto meno conosciuto del prefetto Armando Rocchi: noto per esser stato un fascista di provata fede, molto duro nei confronti dei partigiani combattenti nonché dei renitenti alla leva, fu però anche colui che da prefetto di Perugia salvò una trentina di ebrei impedendone di fatto con le sue azioni il rastrellamento, prova ne sia che alcuni di loro testimoniarono poi in suo favore durante il processo che, dopo La Liberazione, lo vide condannato per crimini di guerra.
In pochi sanno che tra il 1943 e il 1944 il prefetto fascista di Perugia, per salvare dalla deportazione, pretesa dai tedeschi, circa trenta ebrei, italiani e stranieri, li internò, d’accordo con il questore Baldassarre Scaminaci, prima a Villa Ajò e all’Istituto magistrale, quindi al Castello Guglielmi dell’Isola Maggiore sul lago Trasimeno, affidandoli al controllo del seniore della Milizia Luigi Lana e dei giovani ausiliari ai suoi ordini. In questo modo Armando Rocchi creò i presupposti per la loro liberazione. La notte del 12 giugno tre o quattro ebrei fuggirono con alcune guardie scopertesi partigiani. Altri ventidue raggiunsero Sant’Arcangelo, dove erano appena arrivati gli inglesi, nelle notti del 19 e del 20 giugno 1944, grazie a don Ottavio Posta. Il parroco dell’isola, riconosciuto nel 2011 Giusto tra le Nazioni, con il poliziotto Giuseppe Baratta e con l’assenso del capo delle guardie, ne organizzò il traghettamento affidato a quindici pescatori.
Nelle parole di Armando Rocchi: «Io invio tutti gli ebrei a Villa Guglielmi per il loro bene, so quello che faccio… il tempo vi farà capire che ho ragione di fare così… io non verrò mai a trovarvi, ma veglierò su di voi tutti.»
Un saggio sorprendente, ricco di documenti sull’occultamento e la liberazione degli internati. Come scrive nell’introduzione Franco Cardini: “Stefano Fabei appartiene alla piuttosto ristretta cerchia di studiosi che, grazie al loro credito e alla loro comprovata probità scientifica, ha saputo guadagnarsi sul campo quel rispetto e quella considerazione che in linea di principio dovrebbero venire riconosciuti a tutti coloro che dimostrano di possedere gli strumenti della ricerca storica. E con la qualità, la quantità e la mole dei suoi lavori ha dimostrato – senz’ombra di vis polemica e senza volontà provocatoria di sorta – di saper portare avanti con coraggio quelli che il Poeta ha definito «invidïosi veri». È questo il caso, ancora una volta, della vicenda di Armando Rocchi, che Fabei racconta con la consueta accurata attenzione alle fonti: un pubblico funzionario, un soldato, un uomo consapevolmente schierato sul piano politico e non esente da responsabilità anche gravi, che tuttavia ha saputo dimostrare almeno in un episodio della sua esistenza che cosa sia, non già la «banalità del male» e nemmeno la «banalità del bene» (il bene non è mai banale), bensì la possibilità di un coraggio più ammirevole perché, in certe situazioni, esso è un dovere dell’uomo probo: costi quel che costi, e sovente il costo in questo genere di cose è salato.”
Stefano Fabei (1960), laureato in Lettere moderne, insegna a Perugia. Saggista storico, con Mursia ha pubblicato: Il fascio, la svastica e la mezzaluna (2002); Una vita per la Palestina (2003); Mussolini e la resistenza palestinese (2005); La «legione straniera» di Mussolini (2008); I neri e i rossi (2011); Fascismo d’acciaio (2013); I guerrieri di Dio. Hezbollah: dalle origini al conflitto in Siria (2017) scritto con Fabio Polese; La Guardia Nazionale Repubblicana (2020).