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Morti sul lavoro: la politica cominci a guardare le incidenze, non i numeri

morti

Ce lo ha insegnato la pandemia in questi ultimi due anni. Oltre ai numeri assoluti che contano le vittime del Covid -19, sono le incidenze della mortalità – calcolate sulla popolazione di una regione – a determinare concretamente i parametri dell’emergenza e di conseguenza le risposte del sistema sanitario per arginarla.

E lo stesso vale per le morti sul lavoro. I tassi di incidenza degli infortuni mortali, calcolati rispetto alla popolazione lavorativa, sono la base più solida per individuare quali siano le regioni e le province in cui i lavoratori rischiano maggiormente di perdere la vita.

Questi dati – ne siamo certi dopo oltre dodici anni di monitoraggio quotidiano dell’emergenza nel nostro Paese – devono essere conosciuti, devono essere posti sotto i riflettori. Perché solo così le regioni potranno (e dovrebbero) adottare piani di prevenzione adeguati alla propria situazione territoriale: dai controlli alle politiche di prevenzione informative e formative.

La tragedia delle morti bianche è sicuramente una piaga nazionale che non conosce confini. Ma ci sono aree della Penisola in cui risulta essere indubbiamente più rischioso lavorare. E non è la cronaca a fornire questo dato. Anzi, probabilmente i media forniscono un’immagine fuorviante del dramma: spesso in effetti sono i numeri assoluti ad essere posti in primo piano.

Con questo non sminuiamo il prezioso apporto di tv, radio e giornali che ci ricordano quotidianamente l’emergenza. Ma, di sicuro, non la definiscono in modo esaustivo.

Dire ad esempio che in Lombardia e nel Lazio, vengano rilevati numeri preoccupanti non significa che siano queste le regioni meno sicure del Paese per i lavoratori. Piuttosto, sarebbe opportuno sempre precisare che sono anche quelle con il maggior numero di lavoratori.

Altra cosa invece è calcolare la mortalità sulla popolazione lavorativa. Perché è questo il vero indicatore, l’analisi più lucida a cui la politica interessata a dare una risposta alle morti bianche dovrebbe fare riferimento.

Noi, come Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering, l’abbiamo creata una mappatura: dipingendo l’Italia a colori. Gli stessi utilizzati per distinguere i differenti livelli di allarme in tempo di pandemia. Così nei primi nove mesi del 2021 a finire in Zona Rossa sono: Puglia, Campania, Basilicata, Umbria, Molise, Abruzzo e Valle D’Aosta; in Zona Arancione: Trentino Alto Adige, Piemonte, Emilia Romagna e Marche; In Zona Gialla: Liguria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia e Veneto; In Zona Bianca: Toscana, Lombardia, Sardegna e Calabria.

Questi sono i veri indicatori del rischio e dell’emergenza in Italia. Per questo ci auguriamo che le nostre elaborazioni possano spronare e aiutare i nostri amministratori ad agire concretamente.

Soprattutto in vista di ulteriori nuove misure previste ed annunciate per arginare la tragedia delle morti sul lavoro.

L’ultimo che dà molta speranza è un disegno di legge, presentato in Senato che prevede l’istituzione di un nuovo organismo investigativo, la Procura nazionale del lavoro. Si tratta di un percorso volto a migliorare l’organizzazione giudiziaria sul fronte della sicurezza con l’aiuto di una procura esperta e specializzata.

Auspichiamo che questa volta non si spengano i riflettori sull’emergenza, perché sarebbe certamente l’ennesima grande sconfitta per un Paese civile e, a maggior ragione, per una Repubblica fondata sul Lavoro.