Ne parliamo con l’imprenditore Paolo Chiaia
E’ appassionato di moto da sempre. Appena tredicenne, in sella al Ciao Piaggio di famiglia si esibisce in derapate ed impennate.
Grazie a quel veicolo da cinquanta chilogrammi scarsi e dalla strabiliante potenza di un cavallo e mezzo parte la passione per ogni due ruote a motore, sulle quali viaggia per diversi anni. Poi arriva il matrimonio e poi figli, e con questi si attenua la frequentazione con i motori ma la passione non smette mai di bruciare dentro di lui.
Dopo qualche tempo, per Paolo Chiaia, imprenditore veronese con in tasca una laurea in economia ed una grande esperienza nel settore finanziario mondiale, ad un certo punto della vita arriva al momento di dedicarsi seriamente a questa grande passione, ovvero scoprire la “moto che non c’è”.
Osservando il contesto internazionale con occhio attento al marketing ma anche con lo sguardo sognante dell’appassionato, Paolo trova un marchio americano che colpisce la sua attenzione: la “Confederate Motor Company”, produttore di mezzi unici dal design molto particolare, con sede in Alabama. Nasce quindi un contatto con l’azienda statunitense, o meglio, qualcosa di più.
L’imprenditore italiano si propone come importatore europeo delle due ruote a stelle e strisce, ma il processo di sbarco delle moto nel Vecchio Continente subisce una brutta battuta di arresto: è infatti il mese di agosto del 2005 quando l’uragano Katrina causa ingentissimi danni alla sede produttiva di Birmingham, nel sud est degli Stati Uniti.
Nonostante questo, il contatto tra le maestranze “Confederate” e Paolo vanno avanti con decisione anche se all’orizzonte, oltre agli eventi atmosferici si presentano anche problemi burocratici legati all’omologazione dei mezzi in Europa.
Il lavoro importante in sinergia porta fortunatamente i propri frutti: le antenate delle attuali Hellcat Combat, Wraith e Fighter arrivano nel nostro continente per i pochi fortunati possessori, consapevoli di avere in casa un oggetto realmente unico di grande pregio.
Nella filosofia del marchio abbiamo infatti il motto che recita con orgoglio “design intelligente ispirato da veri americani”, valori che il fondatore H. Matthew Chambers porta avanti dal 1991, anno di nascita della casa. Mezzi esclusivi, costruiti su richiesta del cliente ed assemblati totalmente a mano, in un connubio tra tecnologia, design ed altissima qualità dei materiali.
La collaborazione con l’appassionato delle due ruote italiano, che qui però sfodera i suoi studi in economia e la sua esperienza di lavoro nel mercato, porta Paolo Chiaia a diventare socio dell’azienda statunitense. I suoi svariati viaggi oltreoceano lo portano ad apprezzare una tipologia di gara molto diffusa negli USA, ovvero il flat-track, corse su circuiti ovali appunto piatti, dove si sfidano moto leggere ed essenziali.
Il manager italiano propone allora direttamente a Confederate di sviluppare una moto per queste competizioni, ma la direzione in Alabama decide di non appoggiare il progetto. Eppure, l’idea di quel mezzo, gira continuamente nella sua testa come le moto in circuito. E’ l’anno 2008 e siamo al Motorshow di Bologna, notissima kermesse dedicata al mondo dei motori. Qui Paolo incontra Graziano Rossi, padre del Valentino nazionale numero 46, con cui condivide le considerazioni a due ruote dentro e fuori le piste del Motomondiale.
Anche Graziano è alla ricerca della “moto che non c’è”, ovvero un mezzo particolare fatto di potenza e leggerezza, a proprio agio nelle strade tortuose o in un anello di terra. L’idea del campione è quella di fare allenare il figlio proprio su percorsi flat-track, disciplina che nel tempo ha visto cimentarsi nomi del calibro di Roberts, Spencer e Hayden. Per fare questo servono però un circuito ed una moto adatta ad essere guidata in sbandata.
La chiacchierata tra gli stand di Bologna non è soltanto un passatempo: dopo poco nel “ranch” della famiglia Rossi viene realizzato l’ovale. Ora serve soltanto una moto adatta a questo tipo di gara. Sul mercato del primo decennio del Duemila non si trova nulla di ispirato a tali principi.
“In quel momento esisteva solo la Vuun costruita dalla CR&S, casa milanese che realizzava un mezzo estremamente facile, divertente ed efficace, costruito in maniera artigianale”, spiega Paolo, “ma con diffusione molto bassa vista la tendenza del mercato a ricercare modelli più simili alle superbike, molto potenti e con livrea decisamente corsaiola”.
In perfetta controtendenza, nasce allora la “Zaeta”, veicolo diametralmente opposto alla corrente maggiore, che si presenta come superleggera, agile e molto potente con look decisamente aggressivo in stile “Hooligan”. Attorno a questa si crea subito un grande interesse e i numeri di vendita sono realmente incoraggianti.
Il prototipo viene allora industrializzato da “In-motion” società che conta sulla professionalità di ingegneri della MotoGP e ne cura il processo produttivo. Dopo una puntuale riprogettazione del modello, con dettagli estremamente curati come i particolari ricavati dal pieno ed il design esclusivo ed essenziale che rendono la “Zaeta” un mezzo unico, che nasce in piccola serie ma con grande attenzione artigianale.
Con questa moto innovativa, ritorna con forza l’idea delle gare di flat-track e la dirigenza dell’azienda italiana con Paolo in testa inizia ad ipotizzare un’uscita pubblica nelle competizioni importanti. Dopo varie apparizioni nel circuito iridato, arriva l’exploit della debuttante casa motociclistica.
Marco Belli, pluricampione nello Short Track, che ha vinto tre titoli inglesi, quattro italiani e i due europei, vince il titolo europeo del 2010. Grazie alla sua esperienza viene sviluppato il mezzo per gareggiare nella notissima corsa di “Pikes Peak”, cronoscalata tra asfalto e sterrato che si corre in Colorado.
Il mezzo veneto con il pilota italiano si distinguono nella competizione americana mietendo continuamente successi e raggiungendo il punto apicale salendo sul terzo gradino del podio nella propria categoria.
“La nostra moto diventa allora una certezza”, spiega Chiaia, “un prodotto unico ed esclusivo che gli appassionati apprezzano notevolmente per le sue doti di agilità e leggerezza unite alla potenza che ne fanno un mezzo imbattibile nel misto stretto su asfalto e su terra”.
Il cuore di questa motocicletta è da sempre il motore “TM”, incastonato in un telaio rinforzato nella struttura ma estremamente essenziale e privo di ogni orpello inultile, così come è la linea, con design scarno ed efficace. Una moto semplice e genuina con uno spirito davvero ribelle, grazie al peso contenuto e la ciclistica di grande livello.
La Zaeta, pur restando un prodotto di nicchia, attira attorno a sé un discreto gruppo di appassionati che ne apprezza le caratteristiche peculiari che hanno fatto innamorare Graziano Rossi e suo figlio.
Il lavoro di Paolo Chiaia, unito ai colleghi Matteo Uliassi e Giulio Bernardelle, rispettivamente un imprenditore ed un ingegnere con enorme esperienza nella MotoGP (oggi titolare del marchio), portano all’ottimo risultato di oltre trenta moto vendute in un anno, dato realmente significativo per un prodotto unico sullo scenario mondiale a due ruote.
“Un mezzo che è apprezzato da chi sa davvero andare in moto”, sottolinea Chiaia, “competitiva ed aggressiva che sa offrire grandi soddisfazioni a chi ami aprire il gas…, la Zaeta è difficile da condurre a passo d’uomo…”, conclude sorridendo, “un nome una garanzia…”.
E, a proposito di nome, chiediamo al fondatore l’origine di questo marchio che non è un acronimo e non ha nulla a che vedere con fulmini e saette anche se ne ha le caratteristiche. “Il suo nome deriva da biscotti veneti di farina gialla denominati appunto –zaeti“, ci spiega, “e mi piaceva l’idea di un prodotto di casa nostra, fortemente legato al territorio e ad un’idea artigianale.
Da qui nasce Zaeta, la prima di colore giallo appunto”. E il marchio è oggi la perfetta sintesi tra passione, voglia di fare, studio e ricerca indirizzati verso un obiettivo, un sogno. E grazie a tutto questo ed a qualche fortunato incontro che un sogno è diventato una realtà vera e tangibile. La “moto che non c’era” nei desideri di Paolo Chiaia, oggi c’é. Eccome. Roberto Polleri