LA FABBRICA DEL DUCE di Dino Biondi (Minerva)
Pubblicato per la prima volta nel 1967, fu uno dei libri che indagò le tecniche di propaganda del Fascismo.
Non ci sarà mai più (speriamo) una dittatura. Non ci saranno più le adunate oceaniche in piazza Venezia, non ci sarà un altro Duce, un altro Re, un altro Hitler da seguire nel baratro della follia.
La Fabbrica, invece, è ancora lì, pronta a riaprire i suoi cancelli e a ridare il via alla produzione del mito, del salvatore della patria e dell’uomo forte, abile nel cavalcare l’onda del malcontento.
Minerva riporta alla luce uno studio che ha agevolato molti scrittori a caccia di particolari sul Ventennio.
Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1967, ebbe successo perché non piacque ai nostalgici per il tono ironico con il quale raccontava la retorica fascista e neppure piacque a sinistra, dove si aspettavano, oltre alla storia, anche una nuova impiccagione, stavolta a mezzo stampa. Quindi, piacque a tutti i moderati, a tutti coloro che non cercavano identificazione, ma fatti minuziosamente ricostruiti.
Oggi è utile per spiegare ai giovani lettori come mai, tra il 1922 e il 1943, la maggior parte degli italiani fosse mussoliniana, se non proprio fascista. Ed è inevitabile il paragone con il presente e con le nuove tecniche di persuasione adottate dai politici che non devono più ricorrere al “porta a porta” per magnificare le loro capacità, ma assumono abili “navigatori” del web che veicolano la loro propaganda a milioni di persone contemporaneamente premendo il tasto “invia”.
La storia del fascismo corre parallela prima alla biografia di Benito Mussolini, poi a quella del Duce e si arresta quando il mito è crollato e, all’improvviso, la “fabbrica” del consenso ha smesso di produrre idee per ingigantire la figura del dittatore e il Minculpop non ha più l’energia di protestare con gli organi di informazione che danno sempre meno risalto alla gran quantità di veline che piovono nelle redazioni.
La Fabbrica del Duce è un libro di storia assai poco convenzionale. È un libro senza tempo, questo. L’autore ha ripercorso un cammino inverso a quello abituale, passando dalla sintesi all’analisi dei fatti quotidiani.
Quando fu pubblicato per la prima volta, questo libro spiegò ai giovani la costruzione e l’imposizione di un mito. Sembrava impossibile che la storia si ripetesse, eppure negli ultimi anni, dopo il boom delle televisioni e successivamente quello dei Social, è diventato chiaro a tutti che la fabbrica capace di esaltare, gonfiare o distorcere la realtà è più che mai in funzione.
Per questo, cinquantaquattro anni dopo, vale la pena di leggere o di rileggere questa incredibile eppur vera storia che, oggi come allora, continua a ispirare la politica di casa nostra e a dividere gli italiani.
Dino Biondi (1927-2015) è nato a Dozza imolese, si è trasferito nel primo Dopoguerra a Bologna ed è entrato ragazzo a “il Resto del Carlino” come correttore di bozze. Dopo pochi mesi passò alla redazione della cronaca di Bologna e dopo qualche anno, sotto la gestione di Giuseppe Spadolini, divenne inviato speciale e critico cinematografico, ruolo che gli permise di seguire i festival di Cannes e di Venezia e di pubblicare il libro Sottobosco del cinema, che suscitò molto scalpore. Pochi giorni dopo la prima pubblicazione de La fabbrica del Duce, si trasferì a Parigi come corrispondente e raccontò, nel 1968, il maggio francese. Al suo rientro in Italia, nel 1970, gli fu assegnata la direzione del “Giornale d’Italia”, una storica testata allora agonizzante. Biondi la rivitalizzò chiedendo all’editore di stampare, come allora faceva “Paese sera”, anche l’edizione del pomeriggio, che ebbe notevole successo e che gli valse, nel 1972, la direzione del quotidiano sportivo bolognese “Stadio”. Nel 1976 venne nuovamente trasferito a Roma, questa volta come capo della redazione del “Carlino”. Erano quelli gli Anni di Piombo, delle stragi e dei servizi segreti deviati. Il 2 agosto del 1980 era casualmente a Bologna e, in assenza del direttore, gli fu affidata l’edizione straordinaria che andò in edicola poche ore dopo la strage. Nel 1985 uscì il volume, interamente curato da Biondi, sui cento anni della storia del “Carlino”. Dal 1986, per tre anni, si occupò della terza pagina, prima di fermarsi per godersi i nipoti.
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